Ma questa visione viene fatta a pezzi dai giudici della Corte d’Appello, i quali, difatti, sanzionano i due ristoratori con «due mesi di reclusione ciascuno», ritenendo assolutamente lapalissiano il «tentativo di frode in commercio». Decisiva, secondo i giudici, la semplice considerazione che «l’inserimento degli alimenti congelati nel menù, senza la menzione della indicata qualità, costituisce un’offerta al pubblico, non revocabile». Ad avviso dei ristoratori, però, è eccessivamente rigida l’ottica adottata dai giudici. Innanzitutto perché «l’ispezione è stata effettuata in orario di chiusura del locale e non è neppure certo che il menù si riferisse alle pietanze disponibili al momento dell’accertamento».
Eppoi, viene aggiunto, «la indicazione nel menù di determinati alimenti» non costituisce «un’offerta non revocabile», per la semplice ragione che il ristoratore può anche non servire una pietanza che seppure «indicata nel menù, non sia di fatto disponibile». Per chiudere, i due titolari dell’osteria sostengono anche che, alla luce del rinvenimento di alimenti congelati, non si può certo ipotizzare «un inizio di contrattazione» e quindi non si può parlare di «tentativo di frode in commercio». Ma queste obiezioni vengono respinte in maniera netta dai giudici della Cassazione, i quali ribadiscono il peso, ovviamente negativo, della presenza di un menù, destinato ai clienti, in cui gli alimenti congelati non sono affatto indicati come tali. Obiettivo, evidentemente, è tenere all’oscuro il consumatore. Quindi, «anche la mera disponibilità di alimenti surgelati, non indicati come tali nel menù, nella cucina di un ristorante» rende legittima, secondo i giudici, la contestazione del «tentativo di frode in commercio, indipendentemente dall’inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore».
Fonte: www.dirittoegiustizia.it